La metafisica del Passatore

La metafisica del Passatore


Il Passatore è l'ultra su strada più conosciuta d'Italia: si corre dal lontano 1973. Si può anche rimanere insensibili e considerare cento chilometri come un dato metrico e basta, ma non sono il primo a attribuire al Passatore un fascino particolare.

C'è gara e gara, i chilometri sono tutti uguali ma è il contesto a cambiare e a travalicare le considerazioni puramente sportive. Il Passatore ha un fascino metafisico.

Innanzitutto è l'unica gara di cui io sappia che si apre con l'esposizione ai partecipanti della statua del Passatore, come se si trattasse di una processione. Una statua che apre il corteo e che viene caricata su un'auto come battistrada. Il brigante che ha dato il nome alla ultramaratona (che nel 1973 veniva chiamata maximarcia) è un romagnolo che a Firenze non ha mai messo piede. L'idea di associare la figura del brigante citato dal Pascoli alla gara, è già di per se uno scherzo. Una sorta di gioco di parole che ha avuto peraltro la sua fortuna.

La statua del "santo blasfemo" è a grandezza naturale ed è bifronte. Questo aspetto già di per se inquietante è da sempre associato all'inizio e alla fine, all'apertura e chiusura di una porta (e più prosaicamente, di una processione). Passato (la testa che volge di dietro) e futuro (quella davanti), perché il momento presente non esiste. Allo sparo si parte e tutto quello che è dietro di noi è passato, davanti abbiamo "solo" cento chilometri...

Molti mi chiedono perché voler soffrire per correre cento chilometri in un tempo di 12-15 ore (ancora non so bene...dipende). Correre è sofferenza, indubbiamente, ma è anche un piacere trascendente.
Se non si corre non lo si può capire. Alcuni dal di fuori parlano di dipendenza. Il criceto corre nella ruota e si ferma solo per mangiare e urinare. Un runner è uguale. Corre, corre contro il tempo fino ad esaurirsi. Qualcuno corre fino a quando non ne può più... perché si infortuna. La corsa lo mina dall'interno fino a scardinare le sue articolazioni, logorare i suoi muscoli.
Credete che sia questo, il destino solo del runner?
Voi che non correte di fatto, non credete di essere anche voi sulla ruota del criceto?

Scendere dalla ruota non si può, nessuno è riuscito a farlo, ma è in gare come queste, di resistenza, che si scopre che la materialità fisica del presente si scompone e si disintegra nella fatica. La mente non sa più gestire la fatica del corpo e se ne libera. Avete mai provato a trovarvi con la mente libera ?
Uno stato quasi di "stupor", riuscite a vedere con chiarezza tutto, della vostra vita, degli accadimenti del reale e ve ne staccate.
Ritengo che la corsa di resistenza, dalla maratona alle ultra, rappresenti uno stato meditativo particolare.

Uno stato che avvicina al divino, che apre porte sul passato e sul futuro, come vuole la statua bifronte...

E se non ci credete perché non avete mai corso una maratona o un'ultramaratona, chiedete a chi l'ha fatto, a cosa pensa ... e non fermatevi all'apparenza che vi dica "non penso a niente", perché anche questo è un liberare la mente dal presente pensiero.







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