Maratona di New York 2015 !
A New York la bestia non è stata sconfitta ma l'ho tenuta a bada.. |
Un runner è a terra sull’asfalto, come un cavallo
azzoppato, le gambe storte come se
avesse impattato contro un muro. Intorno a lui tre paramedici cercano
di soccorrerlo.
Non ho il tempo di stare a vedere come va a finire perché al
38° km ho già i miei problemi a tenere il passo ma appena accenna a rimettersi
in piedi un urlo e un applauso sentitissimo parte dal pubblico assiepato dietro
le transenne. Un applauso per un eroe che si rialza pronto per la pugna. I
newyorkesi non cercano il sangue ma il sudore lo vogliono vedere e apprezzano
la sofferenza del maratoneta, di ogni maratoneta, in una specie di catarsi.
Nessuno è sconfitto durante la NYC Marathon e ognuno ha
uguale dignità tagliando il traguardo, sia quello che la corre in 2:10 che l’ultimo
che arriva al limite delle 8 ore. Però dovete tagliare il traguardo. La
sconfitta è non arrivarci. Se vi ritirate, vi guardano sdegnati.
Questo è lo spirito della NYC Marathon, un milione di gente
per strada, oltre 50.000 a correrla.
Trentaquattro sono i Paesi rappresentati, 2215 solo i runners italiani presenti quest’anno.
L’altra cosa che caratterizza la maratona di NY, forse proprio
grazie a questo spirito per cui tutti, ma proprio tutti, devono arrivare, è che
la percentuale di ritirati è bassissima. Vero o falso che sia, quest’anno hanno
tagliato quel traguardo in 49.617 su 50.235, cioè il 98,8% dei partecipanti. Un
record che non può vantare nessun'altra maratona!
Personalmente sono arrivato 21544°, 1032° su 2215 runners
italiani, con il tempo di 4:25:09.
Sul fatto che sia il mio tempo peggiore in maratona (come
atteso peraltro) ne parliamo nel prossimo post, e ritorniamo all’atmosfera di
questa maratona.
La sveglia è prestissimo, alle 5,30, per una partenza della
mia wave che è alle 10,30. Sono ore che ti snervano. In parte le occupi a fare
colazione, poi quando scendi nella hall, sali sui bus che ti portano al ferry
per Staten Island. Tanto per dire quanto c’è da aspettare: ci si imbarca alle
7,20.
Sul ferry, c’è mezzo mondo, gente seduta e in piedi o che si
è trovata un posto solo per terra. Come me. C’è chi sonnecchia, c’è chi
mangiucchia qualcosa, la maggior parte ha lo sguardo un po’ perso nel vuoto.
Passo il tempo a guardare la marca di scarpe e a indovinare la nazionalità dei
partecipanti.
A Staten Island mi avevano consigliato di rimanere al caldo
perché tanto c’è tempo da aspettare… mi confermano che ci vuole mezz’ora per
raggiungere con i bus dell’organizzazione, il punto di partenza, così mi metto
a parlare con due runners di Pesaro, Roberto e Emanuela, fino alle 9:10.
Non ci crederete, ma c’è così tanta coda per prendere i bus
che quando arrivo a Fort Wadsworth, l’autoparlante sta chiamando la chiusura
della mia Wave! Dannazione!
Tra metal detector, consegna della sacca a UPS e percorsi
obbligati devo rinunciare alla mia Wave e devo partire con l’ultima, la quarta!
Questo mi innervosisce perché so che ci sarà molta più gente
sulla strada e che finirò la maratona ben dopo l’orario previsto.
La partenza è da film. Elicotteri volano bassi sul ponte di
Varrazzano con rumore assordante, luci blu della polizia dappertutto, due rimorchiatori fanno giochi d’acqua e
migliaia di runners affrontano il ponte di corsa come se si trattasse de “la
guerra dei mondi” o un esodo di altri film catastrofici tipo “fuga da New York”.
Trovare un varco è una cosa impossibile, tutti vanno più
piano del previsto e sono costretto a correre sul marciapiedi cercando di
evitare quelli che si fermano a fare foto. La salita del ponte neanche la vedo.
Poi si scende a Brooklyn e si sente l’incitamento della
folla. La folla è un evento nell’evento. C’è tutta l’America alla NYC marathon:
con cartelli, foto di loro amici, bandiere, striscioni, passi della Bibbia, manone
verdi e gialle e se proprio non hanno nulla in mano, ti vogliono dare il
cinque. Nei primi 10 km il divertimento è quello di infilare più “cinque”:
arrivo a sei!
Mi ero studiato il percorso e mi aspettavo che Brooklyn
fosse noioso: in realtà è una festa e i chilometri passano veloci. Ci sono
poliziotti a ogni incrocio, molto friendly, tanto che qualcuno si ferma a farsi
un selfie con il famoso NYPD. Bisognerebbe fermarsi e non avere una carica a
molla dietro la schiena che ti impone di andare avanti: ci sono complessi
musicali insuperabili, un intero coro gospel davanti alla chiesa battista,
rappers da urlo, batteristi, percussionisti, “The TCS New York City Marathon
boasts more musical entertainment along the course than any other race in the
world”, sta scritto. I gruppi musicali lungo il percorso sono
130!
Un mondo che aspetta che sfili il mondo. Pubblico di ogni razza, etnia, religione. Lo
spettacolo deve essere anche quello offerto da noi runners, ma è difficile
capirlo mentre sei dentro. Stranamente, non ci sono molti tipi eccentrici, ma
alcuni portano la bandiera nazionale, hanno scritto il proprio nome sulla
maglietta ma vedo pochissimi seminudi o mascherati.
Arrivo a 10k in 60:23 e vi dico subito che sono al settimo
cielo! Una emozione unica!
Bellissimo! Mai provato prima! Godo!
Noto che alcune persone offrono fazzolettini per asciugarsi
il sudore e ne approfitto! Basta un sorriso e sono contentissimi! Li bacerei
tutti.
Il cartello più ridicolo è “Run like you stole something”;
“corri come se rubassi qualcosa”. Per 42 km è improbabile… poi c’è anche “you
have got great stamina, call me..” sul cui preciso significato mi sto ancora
interrogando… e “in your mind you’re a Kenyan” che invece è ben chiaro. Mio
padre era bianco, altrimenti…
La seconda parte dell’attraversamento in Brooklyn è
movimentata. Al 14° m c’è una corta salitella che porta a Clinton Hill (e
relativa discesa). Molta gente, in discesa si gode, in salita meno. Si passano
alcune vie a prevalenza ebraica, più tranquille.
Ai 20k passo in 1:59:27 esattamente come mi aspettavo, con
una proiezione finale di 4:07. Si attraversa il Pulaski bridge per entrare nel
Queens. Il Pulaski non ha grande rampa di accesso ma fa precipitare il passo
per la prima volta oltre i 6/km. Ho un
chiodo nello stomaco e mi chiedo se non abbia fatto male a bere a ristori
alterni (che a NY sono ogni miglio). Forse dovevo bere meno… o ciucciare meno gel (ai 10k e ai 20k).
Nel Queens l’atmosfera è sempre festosa anche se più
compassata, ma non sono tanti chilometri, al 25° c’è il famoso Queensborough
bridge. La rampa è spaccagambe, si va piano senza riuscire a prendere ritmo
perché c’è gente davanti che va più piano di me. E il ponte è lungo e anche un
po’ claustrofobico! Faccio 6:29, ma la successiva discesa permette di giungere
con un buon passo al famoso muro del “boro”, appena si entra in Manhattan. Qui
c’è un sacco di gente incitante: impossibile capire quante file di persone siano
dopo le transenne… recupero a 5:00/km
per arrivare sulla altrettanto famosa 1° Avenue. Sono ben conscio che la gara
si decide qui.
La 1° Avenue va dritta per dritta e ha 3 ondulazioni
principali. Salitella e breve discesa. Siamo al 30° e qualcosa non gira più
come dovrebbe. Sulla 1° Av. offrono
banane e Powergel. La banana adesso mi sarebbe indigesta, ma il gel me lo
ciuccio volentieri. Si arriva al primo ponte, Willis Av. bridge, che trovo
brutto e che mi mette in difficoltà. Poi c’è il Bronx e i suoi palazzoni con
tutta gente nera a incitare. Nel Bronx ci sono 5 svolte ed è difficile
recuperare il ritmo, soprattutto perché le traiettorie sono quelle imposte
dalla gente davanti. Sono sui 6:21 e so di dover stringere i denti perché dovrei
stare sotto i 6. Però è più facile a dirsi che a farsi…
35° km in 3:35:44. Sarei dovuto passare in 3:23:00 ma posso
ancora rimanere sotto le 4h15.
Poi si rientra a Manhattan attraverso il Madison Av Bridge.
Essere sulla 5° Avenue e vedere i grattacieli al fondo dà grande speranza: lì da
qualche parte c’è il traguardo. Da un passo da cavallo bolso di 6:41 (il ponte)
passo a 6:08, ma ci pensa il Mount Morris a piallarmi. Sono cinque svolte per
aggirare la montagnetta granitica che nessuno è riusciuto a spianare. Qui
sprofondo a 6:30.
Ma l’urlo della folla sulla 5° Av, anche se meno variopinto
di quella Brooklyn, dà forza e voglia. Ci sono gli alberi di Central Park,
tanti runners che camminano in mezzo alla strada. Salto il rifornimento della
106a Str. e spingo (si fa per dire) a 6:05 al 39°.
Dai è finita!
Sì, lo urlano anche gli spettatori, ma dov’è che si entra in
East Drive? Non finisce più…
Del runner a terra ho già detto, la gente strepita, tu passi
attraverso due ali di folla: entra in cuffia “Bring me to life” proprio
all’ingresso di East Drive.
Spingi ! Non capisco più niente in una specie di “trans”.
Sento gridare “caman ziro” ma non so se sono io, se sono “vivo morto o X”. Corro perché so che sono in ritardo, so che
le gambe sono legnose ma nel contempo non sono morto e vedo che sto superando
un sacco di gente. Mi ricordo che mi sono chiesto “ma quanto piano vanno gli
americani?”. Mi porto sulla corda, perché c’è meno gente e per sentire vicino il
pubblico. Urlano, urlano e quasi mi danno fastidio, batto ancora il cinque con
un bambino, è bello… bello perché
Central Park non finisce proprio più e io ho finito la benzina (7:02 km).
Finalmente si svolta su Central Park South e dovrebbe essere
finita…. No !
C’è ancora un pezzo per Columbus Circle e poi finalmente le ultime yarde.
Alzo le mani al cielo.
Poi chiuso dalla folla mi sento girare la testa e le dita mi
formicolano. Mi stendo a terra in mezzo a quelli che fanno le foto.
“Are you all right?”
Ma certo ! Che vuoi di più?
Sono oltre il traguardo della maratona di New York e nessuno
mi può far più correre. A New York la bestia non l'ho sconfitta ma l'ho tenuta abbastanza a bada.
Almeno fino alla prossima maratona.
Commenti
E complimenti anche per il bellissimo racconto, coinvolgente ed emozionante.